L'impianto della città medievale ascolana è caratterizzato dalla presenza di numerosi luoghi di culto legati alla crescita della popolazione che in età comunale si trasferì in città, dalle campagne, per intraprendere attività artigianali e commerciali. Di questo periodo rimane ancora oggi un nucleo consistente formato da sedici chiese romaniche, oltre al Battistero, che costituiscono un itinerario di grande suggestione.
La chiesa, sorta nel 1069 e ricca di opere d'arte e di elementi provenienti dall'anfiteatro romano antistante, apparteneva direttamente ai Canonici Lateranensi come risulta dallo stemma sopra il portale principale.
Era la chiesa delle potenti monache Benedettine di origine longobarda. La facciata attuale fu realizzata nel 1292. Nel sottotetto si trovano affreschi romanici del sec. XII con figure di profeti.
Aspetti notevoli della chiesa sono: la facciata di 64 formelle quadre, un tempo contenenti affreschi, il portale lunettato del 1306 (con un gruppo scultoreo della Vergine tra i Santi titolari della chiesa) e la cripta, dedicata a S. Silvestro protettore dalla lebbra, che presenta un pozzo un tempo alimentato da una sorgente di acqua ritenuta curativa.
La chiesa di S. Vittore, esistente già nel 966, è un tipico esempio del Romanico, essenziale e quasi rude, sviluppatosi ad Ascoli. La facciata è costruita con semplici conci di travertino e presenta un portale ad arco falcato, rosone a raggi di colonnette (ripristinato nel 1924) e basso campanile.
E' una delle più antiche chiese ascolane, fondata nel sec. V. L'appellativo "inter vineas" (tra le vigne) deriva dalle coltivazioni che una volta si trovavano attorno alla chiesa.
La chiesa, fondata da S. Romualdo e alle dipendenze dell'Abazia di Farfa, si trova su un dosso di tufo fuori dal centro storico ed è stata da poco restaurata.
Il Romanico ascolano si caratterizza per l'estrema semplicità delle linee unita alla ricchezza dei particolari architettonici come rosoni, monofore, bifore, scodelle, cornici lunette e statue.
Le chiese di questo periodo conservano il più ragguardevole corpus di affreschi duecenteschi nelle Marche, a cui si sono aggiunti a metà del '300 gli affreschi grotteschi del Maestro di Offida, probabilmente un monaco farfense a capo di un gruppo di pittori rimasti ignoti. Gli affreschi costituivano una sorta di Biblia pauperum per la catechizzazione del popolo attraverso le immagini.
Ultima Modifica: 04 Novembre 2021