Teatro Ventidio Basso
Stagione 2025/26
13 e 14 gennaio 2026
Il birraio di Preston
tratto dal romanzo di Andrea Camilleri
pubblicato da Sellerio editore
riduzione teatrale di Andrea Camilleri – Giuseppe Dipasquale
con Edoardo Siravo, Federica De Benedittis, Mimmo Mignemi
e con [in ordine alfabetico] Gabriella Casali, Pietro Casano, Luciano Fioretto, Federica Gurrieri, Paolo La Bruna, Giorgia Migliore, Valerio Santi, Vincenzo Volo
regia Giuseppe Dipasquale
scene Antonio Fiorentino
costumi ripresi da Stefania Cempini e Fabrizio Buttiglieri da un’idea di Gemma Spina
produzione Marche Teatro, Teatro Al Massimo di Palermo, Teatro di Roma
Il primo rapporto con il teatro data,
nella mia vita, all’incirca dal 1949. Da questo momento in poi, si può dire,
non ci siamo mai lasciati. Il movente fu un sentimento tipico di certa gioventù
inquieta, tra la noia e la curiosità.
Del teatro già da subito mi attraeva lo
sperimentalismo linguistico, più che quello teatrale. Per primo, posso dire, ho
sperimentato nei teatri cosiddetti minori autori come Beckett e Adamov. Le
altre mie regie teatrali, circa un centinaio, hanno spaziato su repertori
diversi per prospettiva e storia.
Non ho scritto di teatro, come sarebbe
sembrato normale, ma nel ‘67, volendo aprire un capitolo nuovo della mia
creatività, scrissi II corso delle cose, che venne puntualmente rifiutato da
dieci editori.
Oggi posso assistere a come il pubblico
reagisce di fronte ad un drammaturgo di se stesso che ha già conosciuto come
scrittore.
Prima di accettare l’ipotesi di una
riduzione per il teatro di questa mia opera letteraria ho resistito un bel po’.
Non capivo come fosse possibile (e ragionavo, è ovvio, da autore) trovare un
contenitore spaziale, una griglia che supportasse, senza tradirlo, il racconto.
Il colloquio avuto con Giuseppe Dipasquale ci ha fatto trovare la soluzione:
una struttura drammaturgica che salvaguardasse la scomposizione temporale del
romanzo, ma condotta in modo da localizzare scenicamente il tutto in un luogo
che fosse ad un tempo un teatro (quello, per esempio, dove poteva essere
avvenuto l’incendio) e il luogo dell’azione del racconto.
Sono stato per lungo tempo un regista per
non capire quante insidie si nascondono nella trasposizione scenica di un’opera
letteraria. Ci sembra, questa volta, di avere fatto il possibile affinché
l’opera, lo spirito, l’ironia del romanzo siano state conservate. Per il resto
non posso che essere d’accordo con quell’altro mio illustre conterraneo, quando
diceva che l’opera dello scrittore finisce quando comincia quella del regista.
Pirandello amava dire che il lavoro
dell’autore terminava quando egli riusciva a mettere la parola “fine” alla
scrittura teatrale. Bene, questo copione ha la parola fine, messa nell’ultima
pagina. Tuttavia mi sento di chiosare il buon Luigi: è proprio nella messa in
scena che inizia un nuovo viaggio del testo, sempre diverso e sempre nuovo,
sempre imprevedibile, sempre disperatamente esaltante. Per questo il confine
del teatro è come l’orizzonte dei viaggiatori nei mari d’Oceano: sempre
presente, mai raggiungibile. Andrea
Camilleri
Ci troviamo in un piccolo paese
siciliano, che nella topografia camilleriana è il solito Vigàta, durante la
seconda metà dell’Ottocento. L’occasione è data dal fatto che è necessario
inaugurare il nuovo teatro civico “Re d’Italia”.
Il prefetto di Montelusa, paese distante
qualche chilometro, ma odiato dagli abitanti di Vigàta perché più importante e
perché sede della Prefettura, si intestardisce di inaugurare la stagione lirica
del suddetto teatro con un’opera di Ricci. Nessuno vuole la rappresentazione di
quel lavoro, tra l’altro realmente scadente.
Il Prefetto obbliga addirittura a
dimettersi ben due consigli di amministrazione del teatro pur di far passare
quella che lui considera una doverosa educazione dei vigatesi all’Arte, per
seguirli paternamente nei primi passi verso il Sublime.
Si arriva quasi a una guerra civile tra
le due fazioni: da un lato i vigatesi che, con quel naturale e tutto siciliano
senso di insofferenza verso tutto quello che sappia di “forestiero” (e il
Prefetto Bortuzzi lo è!), decidono di boicottare l’ordine prefettizio; e
dall’altra il prefetto Bortuzzi con Don Memè Ferraguto, al secolo Emanuele,
cinquantino, sicco di giusto peso, noto uomo d’onore del luogo, sempre alleato
al potere per atavica e pura convenienza. Da ciò si diparte una storia
divertentissima e al tempo stesso tragica, che culmina nell’incendio del
teatro.
Una narrazione interessante per il suo
intreccio e intricata nello sviluppo specie quando compaiono sulla scena i
dinamitardi che hanno il compito di dare al boicottaggio di quell’inaugurazione
la fisionomia di un messaggio a livello nazionale: dovranno infatti far
esplodere il teatro per convincere il governo che anche la Sicilia è allineata,
contro lo Stato, a favore dei Carbonari.
La turbolenta vicenda si incastra con
quella del Delegato Puglisi e della sua amante, la cui sorella ha trovato
atroce morte proprio in seguito all’incendio del teatro, della cantante
Maddalena Paolazzi vittima una delle più clamorose “stecche” nella storia del
bel canto, del Dottor Giammacurta, dell’avvocato Fiannaca, dell’ingegnere
Hoffer e di tanti altri.
La vicenda narrata è una vicenda
esemplare per raccontare oggi la Sicilia. L’eterna vacuità dell’azione
siciliana, che spesso si traduce in un esasperato dispendio di energie per la
futilità di un movente, è la metafora più evidente del testo. In un esempio
sublime e divertito di narrazione dei caratteri, la Sicilia, il suo mondo, i
suoi personaggi vengono ammantati, attraverso la lingua camilleriana, da una
luce solare, vivida di colori e ricca di sfumature.
Questa Sicilia che non dimentica i morti,
non dimentica i mali letali che cercano di consumarla inesorabilmente dal di
dentro, che non dimentica il tradimento verso valori appartenuti a se stessa
quando era culla di una civiltà, questa Sicilia oggi può senza timore
ricominciare a parlare di se stessa con la necessaria ironia e distacco,
affinché l’autocompiacimento delle virtù come dei vizi e dei dolori, non
costituisca lo stagno dal quale diviene difficile uscire.
BIGLIETTERIA DEL TEATRO
Tel.: 0736 298770 dal lunedì al sabato dalle ore 9.30 alle ore 12.30 e dalle ore 16.30 alle ore 19.30
Nei giorni di spettacolo il botteghino del teatro, inoltre, sarà aperto nei 45 minuti precedenti l’inizio della rappresentazione
INIZIO SPETTACOLI
feriali ore 20.30 - domenica ore 17.30
VENDITA ONLINE
www.vivaticket.com (l’acquisto online comporta un aggravio del costo in
favore del gestore del servizio)
INFORMAZIONI
Biglietteria del Teatro 0736 298770 - www.comune.ap.it - AMAT 071 2072439 - www.amatmarche.net
Ultima Modifica: 29 Settembre 2025